Dal 1992 senza chewing-gum: il bando delle cicche a Singapore

In una città dove ogni dettaglio urbano sembra curato al millimetro, può sorprendere apprendere che a Singapore non è permesso consumare chewing-gum. Dal 3 gennaio 1992 infatti la Regulation of Imports and Exports Act ha vietato produzione, importazione, vendita e persino il semplice consumo di gomme da masticare. Chi sgarra rischia multe fino a 20.000 dollari di Singapore e perfino due anni di carcere: sanzioni che suonano quasi incredibili in un Paese noto per la sua efficienza e modernità.

Alle origini di questa normativa c’era un problema apparentemente banale: la pulizia urbana. Prima del 1992, cicche di gomma sporcavano strade, marciapiedi e arredi pubblici, diventando oggetti appiccicosi difficili da rimuovere. Le autorità stimavano che ogni anno il Comune spendeva circa 150 000 S$ (attorno a 100 000 €) solo per le operazioni di pulizia. È proprio questo dato a spingere verso una misura drastica: vietare la gomma per evitare il costo enorme e il degrado estetico.

A complicare ulteriormente la questione, però, c’era un elemento di sicurezza e funzionalità del trasporto. Nel sistema della Mass Rapid Transit (MRT) – la rete metropolitana cittadina – le gomme finivano spesso sui sensori magnetici delle porte, impedendone la corretta chiusura. Treni bloccati, ritardi a catena e disagi per migliaia di passeggeri divennero episodi ricorrenti: un costo in termini di affidabilità non meno rilevante di quello economico.

Il divieto fu dunque istituito per affrontare contemporaneamente due emergenze: igiene pubblica e regolarità dei trasporti. La legge vieta ogni fase della filiera della gomma da masticare: produzione, importazione, distribuzione, vendita e consumo. Chi viene trovato con una cicca in bocca può essere multato tra i 500 e i 1.000 S$, mentre la vendita irregolare prevede sanzioni fino a 2.000 S$. Per importatori e produttori la multa sale a un massimo di 10.000 S$ (prima infrazione) e persino 20.000 S$ con recidiva, accompagnata da pene detentive che possono raggiungere i due anni.

Non mancano però le eccezioni: le gomme terapeutiche, come quelle alla nicotina o al fluoro prescritte da un medico, possono essere importate e vendute con regolare autorizzazione. Si tratta però di casi limitati, regolati da permessi specifici e controlli stringenti.

Sul piano economico, il fatturato dei produttori e dei distributori di gomme è crollato, con gravi ripercussioni sul mercato locale. Alcune aziende internazionali, come Wrigley e Cadbury, hanno perso un’importante fetta di reddito, mentre i rivenditori si sono riconvertiti su altre categorie di prodotti. Sono nate alternative lecite – come gomme senza zucchero per scopi medici – ma il mercato ricreativo è praticamente scomparso.

Le reazioni alla legge sono state contrastanti. Molti cittadini hanno apprezzato i marciapiedi puliti e la puntualità dell’MRT; i titolari di negozi e il settore pubblico hanno elogiato l’efficienza con cui si è risolto un problema annoso. I consumatori abituali, invece, si sono sentiti privati di una piccola libertà: negli anni ’90 era comune acquistare chewing-gum come gesto quotidiano, e diversi espatriati hanno faticato ad abituarsi a questa restrizione.

Oggi, oltre trent’anni dopo, il bilancio è ritenuto generalmente positivo dalle autorità: Singapore vanta strade e trasporti tra i più efficienti al mondo, senza che la questione chewing-gum abbia più senso di esistere nella quotidianità urbana. Resta però un curioso monito sul bilanciamento tra decoro pubblico e libertà individuale: pochi altri Paesi hanno imposto restrizioni così drastiche su un prodotto di consumo così diffuso.

Che si tratti di una lezione di buon governo o di un eccesso di rigore regolatorio, la vicenda del chewing-gum vietato a Singapore rimane un esempio unico di come un piccolo gesto – il semplice sputare via una cicca – sia stato in grado di influenzare leggi, costi e abitudini di un’intera nazione.

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